La necessità di individuare i fattori causali dell’autismo, legata alla grande complessità e varietà dei sintomi con cui si manifesta, ha portato nel corso degli anni all’elaborazione di modelli interpretativi, spesso, molto contrastanti tra loro.
Le interpretazioni più recenti attribuiscono un ruolo fondamentale nella genesi dell’autismo a fattori neurofisiologici e genetici. Tale atteggiamento interpretativo si è andato via via sostituendo alle iniziali ipotesi psicodinamiche e ambientali, sostenute principalmente dagli autori ad indirizzo psicodinamico.
Rispetto all’eziologia dell’autismo, la teoria oggi comunemente accettata è che elementi genetici e ambientali agiscano nelle fasi precoci dello sviluppo del bambino, durante la gravidanza, o durante i primi anni di vita.
L’ipotesi attuale è che nell’autismo siano implicati non meno di tre e non più di quindici-venti geni. Ognuno di questi agisce come fattore di rischio, ossia causa l’insorgenza della malattia, solo se sono presenti altri fattori di rischio (fattori genetici, oppure ambientali, che favoriscono l’espressione dei geni “malati”). Secondo questa teoria, nella popolazione generale esisterebbero molti soggetti normali, portatori di geni che predispongono all’autismo, i quali non hanno sviluppato l’autismo, perché non sono intervenuti altri fattori “precipitanti”.
Le prime evidenze di una base genetica dell’autismo provengono dall’osservazione che i gemelli omozigoti hanno una probabilità molto maggiore (dal 36% al 90% secondo i vari studi) di ricorrenza della malattia rispetto ai gemelli dizigoti.
Fatta eccezione per una minoranza di casi (meno del 10%), in cui l’autismo risulta associato ad anomalie cromosomiche o a malattie a trasmissione mendeliana, per il restante 90% dei casi il modello di ereditarietà più probabile non è quello monogenico, ma un modello multilocus, in cui più geni concorrono alla predisposizione al disturbo. Alla complessità del quadro, si aggiunge l’influenza di fattori ambientali.
Tra i fattori biochimici che sembrano essere prevalentemente coinvolti nella genesi dell’autismo ci sono quello dopaminergico, serotoninergico e noradrenergico; le proteine gliali e gangliosidi; il metabolismo cerebrale (Ciaccio et Al., Convegno A.G.S.A.S., 2003).
L’alterazione di questi sistemi conduce ad un’alterazione dei neuromodulatori, che porta ad un’alterazione della neurotrasmissione. Tra i neuromodulatori in causa c’è la dopamina, la serotonina, il gaba, il glutammato, la glicina. Il sistema dopaminergico è invocato nell’avere un ruolo nel disturbo autistico perché funzioni come la percezione, l’attenzione, etc., che sono regolate dalla dopamina, risultano compromesse nei soggetti con autismo; inoltre, perché agonisti dopaminergici, come le anfetamine, aggravano la sintomatologia; infine, perché farmaci neurolettici con un meccanismo competitivo sui recettori specifici per la dopamina, provocano un miglioramento della sintomatologia. Invece, Lambiase (2004) afferma che un deficit di serotonina nei lobi frontali possa essere in relazione con l’impulsività e che sintomi ossessivo-compulsivi possono essere messi in relazione a un deficit di serotonina nei nuclei della base.
Sul rapporto tra serotonina e autismo è basata la teoria di De Long (1999). Questa teoria presuppone due tipi di autismo:
1. Il primo è caratterizzato da un danno cerebrale precoce, generalmente dei lobi temporali, in prevalenza della parte laterale, che impedisce il raggiungimento delle fondamentali strutture semantiche del linguaggio, capacità sociali e attività intenzionali organizzate. Questi bambini non possono costruire una struttura di significato e sono abitualmente a basso funzionamento. A questo caso apparterrebbero i casi di autismo con sclerosi bilaterale temporale post epilettica, quelli di herpes simplex, encefaliti, spasmi infantili, sclerosi tuberosa con tuberi temporali, i casi di rosolia congenita, etc.
2. Il secondo gruppo non è associato ad un danno cerebrale. Sarebbe questa la forma idiomatica più comune e non affiancata da segni neurologici o da alterazioni di alcun tipo alle indagini strumentali. Di solito, ha una base familiare, o radici genetiche. Inizialmente, comincia con fenomeni di regressione nel secondo anno di vita, vi è un certo sviluppo del linguaggio e di attività cognitive con alcune isole di funzioni normali, mentre i sintomi affettivi sono preminenti. La prognosi sarebbe migliore rispetto al primo gruppo.