La comunicazione e i comportamenti non comprensibili nei bambini autistici

La parola Comunicare deriva dal latino communis, che significa Comune. Da questo è chiaro come l'atto del comunicare rappresenta qualcosa che "mette in comune", "che collega", "che rende comune e condivide".

L'etimologia del termine è ancora più chiara, se si pensa che l'atto del comunicare lega sempre almeno due parti, due persone, due interlocutori, non essendo contemplata nel singolo rapporto con se stessi, ma solo nella relazione con l'altro. Dunque, comunicazione e relazione non vanno mai l'una senza l'altra, ma continuamente si accompagnano.

L'autismo infantile, così come viene definito dai principali manuali diagnostici in uso, rappresenta un disturbo della relazione e della comunicazione, e restando ancora nel significato proprio del termine, le difficoltà principali dei bambini autistici risultano dunque essere quelle di "mettere in comune" e "condividere".
La visione del bambino autistico nell'approccio P.E.I.A.D. (Progetto Evolutivo Integrato Autismo), già descritta in Risposte, Febbraio, Marzo e Aprile 2000, pone l'attenzione sulla lettura "comune" dei comportamenti dei bambini autistici, spesso definiti "bizzarri" e "non condivisi" socialmente, e descrive allo stesso tempo l'importanza di leggere ed attribuire un senso ad ognuno dei loro comportamenti, cogliendone la valenza comunicativa e relazionale, al di là degli schemi convenzionali e riconosciuti dal senso comune.
L'obiettivo del presente lavoro è quello di accompagnare il lettore nel percorso che dalla definizione delle difficoltà comunicative proprie dell'autismo, si muove verso una lettura emotiva e relazionale di ciò che le difficoltà stesse esprimono, nel rapporto con l'altro, secondo la visione del bambino autistico e delle sue modalità relazionali e comunicative nell'approccio P.E.I.A.D.

Ad opera del Dott. Eugenio D. Sepe, della Dott.ssa A. Onorati e della Dott.ssa L. Zeppetella, pubblicato sulla rivista “Le Possibili Risposte”, Ottobre e Novembre 2000.

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